Nell’ultimo secolo si è assistito ad un profondo cambiamento nell’ambito della filosofia, i cui confini si sono estesi a nuovi campi d’indagine, come le questioni ambientali ed animali. Il dibattito etico su questi temi può oggi contare su numerosi esponenti e su una letteratura ampia e diversificata, tanto che si parla di filosofia ed etiche ambientali ed animali.
Ciò si deve a diversi fattori, fra cui, sicuramente, lo stimolo dell’ecologia e dei vari movimenti ecologisti, che hanno rilevato come il problema ecologico sia al momento uno dei più urgenti, ma anche al fatto che queste spinte ecologiste siano avvenute in un periodo in cui le stesse strutture portanti della filosofia occidentale sono entrate in una profonda e diffusa crisi che riguarda in particolare un concetto: l’antropocentrismo. Infatti, probabilmente, se le spinte ecologiche non fossero state accompagnate in campo filosofico da una messa in discussione di tale concezione, difficilmente si sarebbe potuti giungere ad un dibattito tanto esteso e vario in campo etico.
Le conseguenze di tale crisi sono state però molto destabilizzanti: dato che l’antropocentrismo ha impresso un’impronta in tutta la storia della cultura e del pensiero filosofico, il suo disconoscimento investe la stessa dimensione esistenziale dell’uomo, il quale, persa la legittimità del proprio ruolo dominante, fatica a trovarne un’altra e si ritrova spaesato in un’incertezza di valori e riferimenti. Allo stesso tempo si apre però la strada ad una nuova chiave di lettura della realtà circostante, la quale, senza rinnegare necessariamente il passato, può tuttavia porsi di fronte a nuove considerazioni su noi stessi e sull’altro, in un confronto che comprenda equamente tutto ciò che è altro da noi, compresi gli animali e la natura.
Entrando in crisi vecchi schemi di pensiero, quali l’immagine di una natura come oggetto da dominare e sfruttare, la considerazione degli animali come strumenti a nostro uso e consumo, la visione riduzionistica e soggettivista del mondo sensibile, il discorso si orienta in definitiva verso la rivalutazione di una figura filosofica che per secoli è stata considerata come un ostacolo: la diversità.
Diversità animali, diversità culturali, diversità biologiche, etniche, mentali, complessità ecosistemiche sono oggi temi attorno a cui ruotano le domande sulla realtà e l'elaborazione di una teoria etica che sia adeguata ai nuovi problemi che la realtà ogni giorno ci pone.
Il confronto con la natura ci offre la possibilità di rivalutare il nostro passato e recuperare parte dell’identità (quella che riguarda il nostro essere anche noi “animali” inseriti in un “ambiente”) che abbiamo perso, e nello stesso tempo ci mette di fronte ad avvenimenti che avevamo del tutto, o quasi, ignorato e di cui anche noi siamo corresponsabili insieme a tutti i nostri simili: l’immane tragedia degli animali trattati come oggetti e la trasformazione e morte graduale dell’ambiente. Questi avvenimenti ci pongono interrogativi che richiedono nuove e diverse categorie di elaborazione e ci fanno scoprire la necessità in fondare un’etica su un principio di responsabilità che ci coinvolga nei confronti del pianeta, della natura, degli altri esseri simili o diversi da noi e anche nei confronti del nostro passato e futuro.
In generale possiamo dire che vi sono tre orientamenti (seppure molto variegati al loro interno) che s’impongono nelle discussioni.
Da un lato troviamo un’etica della liberazione, basata su presupposti emancipazionisti in cui la sfera dei diritti umani deve allargarsi pian piano sempre più fino a comprendere una fascia sempre maggiore di esseri viventi, un’etica cioè fondata sul presupposto di un’orizzontalità completa dei livelli del vivente, anzi quasi un’assenza di livelli (infatti definisce “specista” tutto ciò che crea divisioni fra gli esseri animali) e sul riconoscimento dei “diritti” come applicabile anche alla sfera del non umano.
Dall'altro abbiamo un'etica della responsabilità umana che ridimensiona l’antropocentrismo, pur rimanendone all’interno, e che, ritenendo non applicabile alla sfera del non-umano il concetto di diritto, in quanto proprio solo degli uomini, limita la questione al contenimento delle azioni umane e al rispetto dei nostri doveri nei confronti della natura e degli animali che però non hanno un valore in sé, ma solo quello che l’uomo di volta in volta gli attribuisce.
Infine vi è una corrente, che possiamo definire umanesimo ecologico, che si propone di coniugare le istanze innovative espresse dal pensiero ecologico con l’eredità umanistica non antropocentrica. Questo neo-umanesimo auspica un allargamento della comunità umana oltre i confini della specie e, seguendo il modello della parentela, concepisce il cosmo come un’unità indissolubile di cui l’uomo è parte integrante. L’uomo, in quanto unico agente morale mantiene un ruolo centrale all’interno del discorso morale, ma proprio per questo, in una prospettiva etica della responsabilità e appunto della cura, ha il dovere di prendersi cura della natura e degli animali riconoscendo in loro dei pazienti morali.

In ogni modo, oggi più che mai, si inizia a sentire l'esigenza di una nuova via nella quale l'etica ambientale ed animale non siano solo un modo di elaborare una normativa che ordini il nostro rapporto con la natura e gli altri esseri, ma anche uno strumento utile ad inquadrare in una prospettiva globale e sistematica problemi (quali quelli relativi all'ambiente) che hanno la loro peculiarità, appunto, nell'essere problemi complessi.
La cultura ambientalista si diffonde sempre di più, eppure la crisi ambientale sembra non solo perdurare, ma persino aggravarsi. A prima vista ciò farebbe pensare ad una contraddizione che metterebbe in dubbio la validità delle risposte etiche che sono state fino ad oggi fornite. In verità a questo si può rispondere con molte ragioni, quali quella degli interessi economici troppo forti contro l’ecologia, o a una troppo debole messa in pratica di queste risposte, ma il punto più rilevante sembra essere quello che la crisi ambientale è una crisi complessa e non si può risolvere in poco tempo e con una risposta semplice ed isolata. Proprio perché ormai i problemi ambientali sono diventati “globali”, per poter risolvere la situazione è necessario un intervento politico unitario e profondo da parte di tutta la comunità internazionale per uno sviluppo sostenibile e una ridefinizione dei modelli economici e politici basati sullo sfruttamento e il dominio. E nello stesso tempo all’interno di ogni singolo Stato sono necessarie efficaci politiche di educazione ambientale.
L'elaborazione di una nuova etica del vivente è verosimilmente una delle principali necessità teoriche e pratiche per la tanto auspicata “era ecologica”. Essa non può tuttavia avvenire se non in una chiave, come dicevamo, complessa, attraverso il superamento della frammentazione del sapere, dell'isolatezza delle discipline, della parzialità delle strategie, dell'antinomia tra atteggiamenti scientifici e atteggiamenti emotivi (scienza e coscienza), e soprattutto attraverso l'accettazione della diversità come fonte di ricchezza e una profonda apertura verso la varietà e la pluralità dei modi di essere.
Ci occorre, in definitiva, un'etica ambientale contestualizzata in un nuovo generale “paradigma ecologico” (ecologia nel senso più vasto di riflessione sui sistemi viventi), perché dalla “svolta ecologica” si riesca a passare, finalmente, alla “maturità ecologica”.

 
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