Il potere dell’uomo sulla natura

Alla base dell’etica ambientale c’è la consapevolezza del mutamento radicale che è avvenuto nella natura dell’agire umano, che è stato notevolmente accresciuto dagli sviluppi della tecnica. L’etica del mondo classico, dato che limitava la sua attenzione al mondo dell’uomo, non aveva bisogno di dare rilevanza morale all’ambito del non umano. Questo avveniva soprattutto perché il raggio d’azione dell’uomo era allora spazialmente e temporalmente limitato e non poteva causare gravi danni alla natura che infatti era considerata come invulnerabile ed immutabile. Se analizziamo gli imperativi e le massime dell’etica tradizionale, essi mostrano sempre una limitazione al campo immediato dell’azione, in cui l’agente e “l’altro rispetto al suo agire” si trovano sempre in un presente comune e in rapporto tra loro.
Ma “poiché la tecnica” come ci dice Hans Jonas “è entrata oggigiorno a far parte di quasi tutto ciò che riguarda l’uomo – vivere e morire, pensare e sentire, agire e patire, ambiente e cose, desideri e destino, presente e futuro – in breve, poiché è diventata un problema centrale e pressante per l’intera esistenza dell’uomo sulla terra, essa concerne la filosofia.” La tecnica moderna ha introdotto azioni, oggetti e soprattutto conseguenze di dimensioni così vaste e nuove che l’etica tradizionale non è più in grado di contenerle. La trasformazione maggiore si è avuta soprattutto nel rapporto dell’uomo con la natura. Essa è infatti divenuta improvvisamente vulnerabile davanti all’intervento tecnico dell’uomo e quindi nello stesso tempo soggetta all’uomo. Ma proprio questo potere, che l’essere umano ha acquisito addirittura sull’intera biosfera, porta con sé anche un enorme carico di responsabilità da cui prima era escluso. Un’altra trasformazione da sottolineare sta proprio nella perdita di restrizione spaziale e temporale delle azioni che nello stesso tempo corrono il rischio di diventare irreversibili, tutto ciò non fa che accrescere il carico di responsabilità a cui è sottoposto l’uomo che è costretto, se vuole salvaguardare la vita del pianeta, delle generazioni future e la sua stessa, a soppesare gli effetti delle proprie azioni. Il sapere allora diviene uno strumento importantissimo, anzi un “dovere impellente e deve corrispondere, in ordine di grandezza, alle dimensioni casuali del nostro agire” . E qua si incorre in un altro problema: può il nostro sapere essere tanto esteso da conoscere tutte le conseguenze delle nostre azioni? Nessuna etica tradizionale aveva l’onere di tener conto della condizione globale della vita umana e del futuro lontano, quando non addirittura della sopravvivenza della vita stessa sulla Terra. Ed è proprio il fatto che quest’ultima sia implicata nella questione che rende necessaria una nuova concezione dei diritti e dei doveri, per la quale né l’etica, né la giurisprudenza tradizionali offrono principi adeguati. Il principio di responsabilità ci chiede di estendere la valutazione alle conseguenze a lungo termine e ci prescrive di vincolare le nostre scelte con la clausola di tutelare e assicuare la vita futura. Gli effetti a lungo termine prodotti dall'azione tecnica non sono oggi del tutto prevedibili, ma si prospettano, secondo il filosofo, con molta probabilità terribili e distruttivi. Per questo, nell'incertezza delle conseguenze, bisogna seguire quella che Jonas chiama euristica della paura che ci deve indurre a dare più credito alla previsione cattiva rispetto alla buona, a considerare la dinamica cumulativa (potenzialmente ad infinitum) degli sviluppi tecnici, a moderare l'intervento dell'uomo nell'ambiente naturale, ad adottare delle moratorie nelle ricerche tecnico-scientifiche e nelle loro ricadute tecnologiche.
Il nostro agire, dunque, pur avendone la possibilità, non deve compromettere le possibilità di una vita futura, in quanto secondo Jonas, l'essere ha in sé una finalità che reclama di essere svolta e attuata. L'essere è un bene in sé e per questo vanno promosse le condizioni che permettano all'essere di esistere e di realizzare le proprie intime finalità. La responsabilità assume una marcata incidenza collettiva e politica che non aveva prima dello sviluppo sistematico e progressivo della tecnologia. Diviene responsabilità per l'esistenza, oltre che del genere umano, di ogni forma vivente, dell'ambiente naturale, delle piante, degli animali. Responsabilità non solo per l'esistenza attuale, ma anche per quella delle generazioni future degli uomini. L'etica tradizionale non è dunque capace di guidare le azioni dell'uomo contemporaneo, per cui la nuova etica, secondo Jonas, deve cercare un nuovo fondamento che sostituisca l'imperativo kantiano, e che non deve essere più di tipo logico, basato sull'universalizzazione, ma di tipo metafisico. Il nuovo imperativo morale che ne scaturisce riconosce come prioritario il dovere di garantire l'esistenza futura dell'umanità:
"Agisci in modo che le conseguenze delle tua azione siano compatibili con la permanza sulla terra di un'autentica vita umana" .
L’imperativo di Jonas sebbene incentrato ancora in una visione antropocentrica penso possa essere molto utile per sviluppare un imperativo che sia valido anche all’interno di un’etica del rispetto dell’ alterità, così come abbiamo precedentemente detto che deve essere vista l’etica ambientale.
Infatti sebbene Jonas pone come fine delle azioni dell’uomo la compatibilità con la sola vita dell’uomo, sottolinea che tale vita deve essere “un’autentica vita umana”. Ora l’interrogativo che si pone è: può essere considerato “autentica” una possibile vita umana sulla terra dove gli animali e l’ambiente siano stati irrevocabilmente eliminati? Se anche fosse possibile per l’uomo, cosa per altro praticamente impossibile, una tale vita dal punto di vista biologico, certamente causerebbe dei profondi mutamenti del suo essere e allo stesso concetto di umanità che muterebbe radicalmente non avendo più nulla al di fuori di sé con cui rapportarsi. In fondo l’umanità è tale anche perché esiste ciò che non è umano. Per cui, a mio avviso, è lecito pensare che “un’autentica vita umana” presupponga anche che l’esistenza e la protezione dell’ambiente e delle altre creature viventi che fanno a pieno titolo parte della vita dell’uomo.

   

 

 

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