Vegetarianesimo e il diritto alla vita

Con vegetarianesimo solitamente si intende l’uso di astenersi dal mangiar carne. Il termine “vegetariano” entrò nell’uso comune in seguito alla formazione, in Inghilterra nel 1847, della Vegetarian Society. Poiché le regole di tale associazione non permettevano di mangiare la carne e il pesce, ma permettevano l’uso del latte e delle uova, sotto la dizione “vegetariano” oggi si fanno rientrare quelle persone che perseguono tale abitudine alimentare. Esiste poi una pratica più estrema chiamata “veganismo” in cui, oltre che degli animali, non ci si nutre neanche dei derivati animali in quanto considerati prodotti la cui origine sfrutta gli animali. Per questo i vegan rifiutano anche i prodotti caseari, le uova e qualsiasi altro cibo che sia stato realizzato mediante lo sfruttamento o l’uccisione di un animale. I vegetariani più coerenti e, ovviamente, i vegan evitano anche l’utilizzo di oggetti e indumenti in pelle, cuoio, avorio, pellicce e quant’altro di derivazione animale.
Le motivazioni che spingono gli uomini a diventare vegetariani sono molteplici.
Molti movimenti ambientalisti che promuovono politiche di sostenibilità ambientale sono favorevoli alle diete vegetariane e come dice Linzey “propongono al riguardo due tipi di argomentazioni”. La prima è che se il vegetarianesimo si diffonde su scala mondiale , in particolare in occidente dove è attualmente maggiore il consumo di carne, la distribuzione globale del cibo diviene più equa . Secondo il World Watch Istitute che riporta i dati del Dipartimento americano dell'agricoltura, quasi il 40 % del totale dei cereali prodotti nel mondo e oltre il 70% del raccolto statunitense sono destinati all'alimentazione animale . Secondo il Council for Agricoltural Science and Thechnology dello Iowa, se tutti questi cereali fossero consumati direttamente dagli esseri umani, invece di essere convertiti in carne, latte, uova, formaggi, nutrirebbero un numero cinque volte maggiore di persone. Si è calcolato che se gli americani riducessero del 10% il proprio consumo di carne, utilizzando l'energia, la terra e l'acqua attualmente destinate agli allevamenti, si potrebbero nutrire 100.000.000 di esseri umani.
Su scala mondiale, quindi, un terzo dei cereali e tre quarti della soia prodotti globalmente sono destinati a nutrire gli animali degli allevamenti anziché gli esseri umani. “È stato calcolato che se noi tutti seguissimo una dieta vegetariana e distribuissimo il nostro cibo in modo equo, la biosfera potrebbe sopportare sei miliardi di abitanti; se il 15 per cento delle nostre calorie fossero derivate da prodotti animali (con il cibo sempre distribuito equamente), la cifra scenderebbe a quattro miliardi di abitanti; con il 25 per cento, la cifra scenderebbe a tre miliardi”.
Basandosi su consumi pari a quelli statunitensi attuali, un raccolto di 2,2 miliardi di tonnellate di vegetali può nutrire solo 2,75 miliardi di persone (su 6 miliardi che popolano il pianeta). Questi dati dimostrano che, se tutti adottassero un modello di consumo come quello oggi imperante nei paesi occidentali, il pianeta non potrebbe reggere. Lo stesso raccolto potrebbe nutrire 11 miliardi di indiani (i quali hanno un consumo pro-capite di carne di molto inferiore a quello dell'occidentale medio), un numero maggiore dell'attuale popolazione mondiale.
Sei miliardi di umani, tanto carnivori quanto il cittadino medio occidentale, richiederebbero il doppio delle terre emerse esistenti, perché sarebbe necessaria una quantità di cereali pari a più del doppio dell'attuale produzione.
La seconda argomentazione degli ambientalisti è che l’attuale sistema di allevamento intensivo a lungo andare si presenterà molto dannoso per l’ambiente in quanto molto inquinante e troppo dispendioso dal punto di vista energetico.

Motivazioni di tutt’altro tipo sono quelle poste dai cosiddetti vegetariani “etici”, ovvero coloro i quali trovano eticamente scorretto nutrirsi degli animali.
L'idea che mangiare gli animali sia moralmente sbagliata era già presente nel mondo antico. Convinzioni e pratiche vegetariane erano diffuse fra molti filosofi quali Pitagora, Empedocle, Teofrasto, Plotino e Porfirio.
Ad esempio Pitagora, secondo la testimonianza di Giamblico, preferiva non nutrirsi di animali e raccomandava a tutti di fare altrettanto: “Nella cerchia dei politici prescriveva ai legislatori di astenersi dagli animali, poiché volendo costoro praticare in sommo grado la giustizia, non dovevano recare offesa a nessuno degli animali a noi affini. Infatti, come avrebbero potuto persuadere gli altri ad agire giustamente quando essi stessi fossero dominati dallo spirito di sopraffazione? Generale è la parentela degli esseri viventi, i quali mediante la comunanza nella vita, dei medesimi elementi e della mescolanza da questi risultanti, quasi fraternamente sono legati a noi” .
Venendo ai nostri giorni le riflessioni del vegetarianesimo etico si inseriscono nel più vasto dibattito sulla questione animale, in cui il diritto alla vita ha senza dubbio un posto molto rilevante. In linee generali si può dire che le argomentazioni a favore del vegetarianesimo hanno origine da due considerazioni particolari.
La prima riguarda il valore della vita animale. Ad esempio Tom Regan che sostiene che che gli animali, in quanto soggetti di vita, possiedono un valore in sé, e quindi, dato che quello della vita è un valore a cui non possiamo restare indifferenti, non può essere lecito ucciderli. Inoltre anche se gli animali, considerati come risorse rinnovabili e utilizzabili a proprio piacimento, fossero trattati bene, cioè non subissero inutili sofferenze, questo non altererebbe la fondamentale ingiustizia della pratica. In effetti se riconosciamo alla vita animale anche solo un valore secondario o perfino minimo è difficile vedere come la preferenza di gusti umani da sola possa giustificare l’uccisione degli animali per cibarsene. Il consumo di carne, quando potremmo farne benissimo a meno è, come dice Clark, “vuota ghiottoneria”. E d’altra parte in un’ottica del rispetto verso l’altro in cui si tende ad attribuire diritti anche agli animali sembrerebbe logicamente incoerente preoccuparsi della sofferenza degli animali senza attribuire un certo valore anche alla loro vita. Del resto se, come dice Singer, “siamo disposti a togliere la vita ad un altro essere soltanto allo scopo di soddisfare il nostro gusto per un particolare tipo di cibo, quell’essere non è niente di più che un mezzo per i nostri fini” .
La seconda argomentazione deriva da considerazioni sul benessere degli animali. Se si vogliono evitare sofferenze inutili agli animali, allora è necessario non cibarsene. Infatti l’allevamento (vedi galleria fotografica ), il trasporto e la macellazione, passaggi obbligatori affinché l’animale arrivi nei nostri piatti, sono tutte pratiche che comportano un certo grado di sofferenza, a volte molto grave e prolungata. L’incapacità attuale di rendere più civile la situazione degli animali negli allevamenti intensivi e nella macellazione rende dunque già di per sé immorale il cibarsi degli animali. Nella prospettiva utilitaristica di Singer diventare vegetariani significa ridurre il consumo della carne e quindi diminuire le sofferenze degli animali. Siccome, per assunto, diminuire le sofferenze è un bene, allora anche la causa di riduzione sarà anch'essa un bene. Per cui ad ogni azione vegetariana verrà attribuito un valore positivo, in quanto parte di quel valore positivo globale che essa contribuisce di fatto a causare. Con tale concezione Singer intende anche confutare il classico argomento dell'inutilità della scelta vegetariana, dell'impotenza del singolo di incidere, sia pure in maniera minima, su un mercato tanto vasto quanto quello della carne .
La discussione inoltre spesso verte sul problema se gli animali abbiano o meno il senso del futuro e quindi delle aspettative ed in tal caso se si rendano conto del concetto di morte. Se la risposta è affermativa allora non è sufficiente sopprimerli in maniera eutanasica, perché in tal caso si frusterebbero le loro aspettative di vita.
Il vegetarianesimo, visto in quest’ottica, costituisce la base più coerente per contrastare tutte le ingiustizie commesse contro gli animali. Rappresenta infatti il rifiuto più radicale di quell’antropocentrismo secondo cui è lecito utilizzare gli animali a proprio uso e consumo.
Per cui "divenire vegetariano non è meramente un gesto simbolico. Non è neanche il tentativo di isolarsi dalle sgradevoli realtà del mondo, di mantenersi puro e senza responsabilità per la crudeltà e la carneficina che ci circondano. Diventare vegetariano è il passo più concreto ed efficace che si può compiere per porre fine tanto all'inflizione di sofferenze agli animali non umani, quanto alla loro uccisione" .
Secondo Singer le azioni di protesta e le condotte politiche, pur rimanendo un potente mezzo che deve essere continuamente attuato, non sono sufficienti per un effettivo cambiamento del trattamento degli animali, in quanto a chi sfrutta gli animali da allevamento non interessa la nostra approvazione, ma semplicemente il nostro denaro. Essi infatti utilizzeranno i metodi intensivi fin quando potranno guadagnare da quello che con tali mezzi producono e avendo proprio da questo profitto anche grossi mezzi finanziari, e quindi potere, saranno in grado di combattere politicamente ogni tentativo di riforma da parte dello Stato e si difenderanno dalle critiche rispondendo che si limitano a dare al pubblico ciò che esso vuole. L’unico mezzo che abbiamo a disposizione, per arginare tutto questo, diviene allora il non comprare i prodotti che escono dagli allevamenti utilizzando il vegetarianesimo come boicottaggio. “Per la maggior parte dei vegetariani si tratta di un boicottaggio permanente, poiché una volta che si sono distaccati dall’abitudine di mangiar carne, non riescono più ad accettare che si uccidano animali solo per il futile desiderio del loro palato” .
È in punti come questo che le conseguenze dell’antropocentrismo entrano direttamente nella nostra vita pratica e siamo tenuti a testimoniare la veridicità della nostra preoccupazione verso gli animali. Abbiamo la possibilità di far qualcosa di concreto che influisce in modo sostanziale sulla vita degli animali. Sebbene non possiamo identificare nessun singolo animale che abbiamo beneficato diventando vegetariani, possiamo supporre che la nostra dieta, insieme a quella di molti altri che come noi evitano la carne, avrà un qualche impatto sugli animali allevati nelle fattorie industriali ed uccisi per il cibo. Il vegetarianesimo, in tal senso, poggia su basi ancora più solide di altre forme di boicottaggio, perché i vegetariani contribuiscono con la loro condotta a ridurre le sofferenze e l’uccisione degli animali anche se non riusciranno a vivere a sufficienza per vedere conseguire un’astensione di massa dalla carne e la fine delle crudeltà.
Una domanda che può sorgere spontanea quando ci si avvicini alle pratiche vegetariane è quella del limite fino a cui dobbiamo andare per rispettare il diritto alla vita degli animali. La necessità di non comprare la carne prodotta dagli allevamenti intensivi fino a che punto deve cambiare le nostre abitudini alimentari? Secondo Singer “il solo confine legittimo per la nostra preoccupazione per gli interessi per gli altri esseri è il punto in cui non è più esatto dire che un essere ha degli interessi. Per avere degli interessi un essere deve essere in grado di soffrire o provare piacere. Se un essere soffre non vi può essere alcuna giustificazione morale per ignorare tale dolore o per rifiutare di confrontarla con la sofferenza di un qualsiasi altro essere. Ma è anche vero l’inverso. Se un essere non è capace di soffrire, o di godere, non c’è niente da prendere in considerazione” .

A favore della pratica vegetariana vengono avanzate anche ragioni igienico salutiste: la dieta vegetariana sarebbe migliore di quella a base di carne, in quanto nuove ricerche scientifiche hanno ipotizzato che la struttura anatomo-fisiologica dell'uomo lo attesta fra gli animali frugivori-vegetariani, come gli scimpanzé, i bonobo, i gorilla e gli oranghi e che la dieta vegetariana ci difenderebbe dall'insorgere di numerose malattie, quali le malattie cardiovascolari e numerosi tipi di tumori.
Secondo Tom Regan uno dei compiti primari dei filosofi animalisti sarà quello di "contribuire ad educare coloro che attualmente sostengono l'industria degli animali, affinché si rendano conto delle implicazioni del loro sostegno; contribuire ad accreditare l'opinione secondo cui questa industria, così come la conosciamo, viola i diritti degli animali e, se necessario, lavorare perché la forza della legge costringa quest'industria ad operare i cambiamenti necessari" .

   

 

 

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