La sperimentazione animale e il diritto a non subire torture


Con il termine “vivisezione” di intende quella attività che consiste nel sezionare a scopo di studio un organismo vivente.
Questa pratica può essere fatta risalire all’antichità greca quando il medico Alcmeone di Crotone studiando fisiologia tagliò un nervo ottico di un animale e ne notò la sopravvenuta cecità. I medici alessandrini Erofilo e Erasistrato fecero ancora maggiore affidamento sull’osservazione fatta sugli animali vivi nel formulare le loro teorie fisiologiche. Ma il primo che portò la vivisezione nell’ambito della sperimentazione metodica fu il famoso medico romano, Galieno .
Fino al 1800 la sperimentazione sugli animali rimase uno dei tanti metodi per spiegare determinati fenomeni fisiologici. Tale orientamento è stato modificato per la prima volta da Francois Magendie e poi successivamente dal suo allievo Bernard, che utilizzarono con successo il metodo sperimentale. In particolare Bernard diede anche un contributo filosofico a tale questione scrivendo un trattato, Introduzione allo studio della medicina sperimentale, sulla necessità della sperimentazione animale. In quest’opera egli sostiene che la sperimentazione sugli esseri umani è immorale, se tali esperimenti possono, anche solo leggermente danneggiare i soggetti sottopostivi. L’utilità per gli esseri umani può invece giustificare l’utilizzo di animali nelle sperimentazioni, anche se dolorose e dannose. Se infatti molte vite umane possono essere salvate con il sacrificio di pochi animali, ciò non solo è assolutamente giusto, ma diviene per Bernard addirittura un diritto .
Nel 1885 Pasteur ottenne il vaccino contro la rabbia eseguendo decine di sperimentazioni su cani e conigli, mentre la ricerca che portò all’utilizzo della tossina antidifterica avvenne grazie ad esperimenti su cavie. Questi ed altri successi fecero sviluppare ulteriormente la medicina sperimentale. Nel corso del ventesimo secolo l’impegno degli animali nella ricerca si estese oltre la fisiologia e la farmacologia sconfinando in campi quali la psicologia, le verifiche sugli addittivi alimentari, i cosmetici e così via.
L’assenza di una significativa contestazione contro la vivisezione nel corso del XVII secolo è stata attribuita spesso alla grande influenza delle teorie cartesiane secondo cui gli animali sono macchine incapaci di provare dolore. Tuttavia gli stessi sperimentatori riconoscevano che gli animali soffrivano, solo che non consideravano la sofferenza, che infliggevano alle proprie cavie, una crudeltà. In qualità di scienziati inoltre ritenevano la sperimentazione una nobile attività in quanto apportatrice di sempre nuove conoscenze sulla natura. Del resto fino ad oggi la ricerca sugli animali è sempre stata giustificata in base al principio che è un bene pratico che è utile all’uomo e nello stesso tempo è un bene intellettuale in quanto aumenta il nostro sapere. Nella seconda metà del diciottesimo secolo queste giustificazioni iniziarono ad essere attaccate in modo forte. Il cambiamento di mentalità generato dall’Illuminismo comprendeva una sensibilizzazione verso la sofferenza dell’uomo, ma anche, in una certa misura, degli altri animali. Ma fu soltanto nel diciannovesimo secolo, soprattutto in Inghilterra, che le argomentazioni filosofiche contro la sperimentazione animale si tradussero in azione politica, tanto che nel 1875 Cobbe fondò la Società per la protezione degli animali esposti alla vivisezione, la prima organizzazione dedicata all’abolizione della sperimentazione animale . Le argomentazioni contro la vivisezione non erano nuove come era già accaduto nel secolo precedente si negava l’utilità della sperimentazione e cosa più importante si negava, come assolutamente immorale, il sacrificio dell’animale per il bene dell’uomo. La sperimentazione assunse così un carattere fondamentale per la formulazione di una filosofia dei diritti degli animali. È infatti un caso lampante dell’utilizzo dei non umani da parte dell’uomo per un suo fine personale e d’altra parte i presunti scopi della vivisezione, salvare vite umane, sono di gran lunga più nobili dei fini perseguiti da altre attività umane che sfruttano anch’esse gli animali, quali la caccia, l’allevamento, le corse dei cavalli etc. Per cui se si riusciva a dimostare il principio di uguaglianza dei diritti fra uomini e animali, nei laboratori, cioè di fronte ad una grande utilità per l’uomo, sarebbe conseguito necessariamente che questo è valido anche altrove dove il bene per l’uomo era di gran lunga inferiore.
Tuttavia con il novecento la sperimentazione animale, grazie ai notevoli successi avuti in campo medico, ebbe un impulso ancora maggiore rispetto ai secoli precedenti, soprattutto nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Cosicché negli anni settanta, sotto la spinta della critica allo specismo e della filosofia della liberazione animale la sorte degli animali da laboratorio tornò ad essere al centro degli interessi degli attivisti per i diritti animali.
Oggigiorno si preferisce parlare di sperimentazione animale anziché di vivisezione dato che la dissezione vera e propria non è che una piccola parte rispetto all'enorme quantità di esperimenti di ogni genere che viene effettuata su milioni di animali. Per questi motivi si preferisce la dizione più precisa di “sperimentazione animale” che starebbe ad indicare ogni tipo di ricerca in cui vengono utilizzati gli animali. Del resto, probabilmente, le pratiche di laboratorio più cruente non sono quelle della vivisezione, ma quelle delle innumerevoli sperimentazioni (vedi galleria fotografica). Basta ricordare tutti quegli esperimenti di cui è piena la letteratura scientifica, soprattutto nel campo della psicologia, dove si procura agli animali una violenza sia fisica che psicologica di molto superiore a quella provata da un animale anestetizzato e sezionato da vivo.
Non bisogna inoltre dimenticare che la sofferenza patita dagli animali da esperimento inizia molto prima della prova cui verranno sottoposti. Comincia quando sono catturati, o al momento della nascita qualora provengano da allevamenti. Prosegue con la stabulazione in piccole gabbie, a volte in condizioni igeniche precarie, sempre e comunque privati della libertà, del movimento, della socializzazione, della gratificazione affettiva di cui anche gli animali hanno estremo bisogno.
Solitamente l'unica possibilità che abbiamo per capire cos'è la vivisezione è quella di leggere le riviste "scientifiche" che pubblicano i lavori di ricerca. In esse finalmente vengono fornite le modalità con cui si compiono gli esperimenti. È importante precisare che la vivisezione viene praticata in tutte le nazioni poiché in nessun paese è stata abolita. Il primato per quanto riguarda il numero di animali impiegati e di esperimenti compiuti spetta alle nazioni maggiormente industrializzate e soprattutto a quelle con la maggior presenza di industrie farmaceutiche.
L'attacco alla pratica della vivisezione condotto dagli animalisti e dalle varie associazioni antivivisezioniste persegue due strategie differenti. La prima consiste nel negare la validità scientifica della sperimentazioni su animali e la possibilità di trasferire i dati ottenuti con tale metodo all'uomo. Tale posizioni è condivisa da un sempre maggior numero di scienziati e ricercatori, ma trova ancora fortissime resistenze all'interno dell'ambiente medico e dell'opinione pubblica.
La seconda linea di attacco si articola invece sul discorso etico: gli animali non sono affatto dei soggetti morali neutrali, come sostengono i vivisettori, ma esistono precisi doveri morali nei loro confronti, di conseguenza, del tutto indipendentemente dal fatto che la vivisezione sia utile o necessaria, l'etica ci impone di non sottoporre gli animali a tale strazio.
Hans Ruesch, linguista, zoologo, sociologo e scrittore di fama mondiale nel suo testo Imperatrice nuda, sostiene che l'immoralità delle posizioni vivisezioniste sia determinabile e data a priori dato che l'uomo è un essere morale e "soltanto gli adepti della scuola pseudoscientifica moderna considerano che moralità e immoralità, giustizia ed ingiustizia, bene e male, siano parole prive di significato, concetti antiscientifici, dato che non sono riproducibili in laboratorio" . In sostanza gli antivivisezionisti sostengono che se i vivisezionisti possono convincersi del fatto che gli animali non soffrono, è solo perché si sono resi insensibili alle sofferenze altrui.
Secondo Ruesch i ragionamenti, i discorsi e le pratiche dei vivisettori sono antiscientifici proprio perché non tengono conto delle realtà intangibili della vita. L'etica è una di queste. Non si può ridurre o estendere l'etica secondo una "morale dell'utile", perché altrimenti si cessa di essere umani. I vivisezionisti sostengono la similarità tra l'uomo e l'animale sul piano biologico, questo anzi fonda per loro la concretezza della sperimentazione stessa, ma la negano sul piano morale, e questa è una contraddizione inaccettabile. Non si può infatti sostenere la somiglianza con gli animali quando li torturiamo come cavie e fondare proprio attraverso tale somiglianza il diritto a tali pratiche per poi sostenere la diversità da noi dal punto di vista etico , per eludere i nostri doveri. Si può anzi affermare che tanto più la somiglianza filogenetica rende gli esperimenti validi dal punto di vista scientifico, tanto più li rende problematici dal punto di vista etico. I vivisezionisti sostengono che la "superiorità" dell'uomo ci dà il diritto di fare ciò che ci pare delle creature non umane, ma se tale superiorità costituisse un diritto, sarebbe, come sottolinea Ruesch, anche lecito vivisezionare i ritardati mentali, gli analfabeti, gli zingari, i neri e tutti coloro che ognuno, secondo la propria opinione personale, considera inferiori sul piano intellettivo, morale, nazionale, razziale etc. "E se fosse giusto torturare animali da laboratorio per il bene degli uomini, allora sarebbe giusto torturare un uomo da laboratorio per il bene di mille uomini. Difatti qualsiasi argomento che giustifica la tortura di animali è valevole anche per la tortura di esseri umani" .
Anche secondo Silvana Castiglione "dal punto di vista morale, sperimentare su di un cane o una scimmia pone dei problemi analoghi a quelli che deriverebbero dall'adoperare neonati o dei deficienti" . Ciò ovviamente non significa che bisogna incoraggiare la sperimentazione sugli umani marginali, ma che anche la sperimentazione su animali implica una dimensione morale molto profonda, e che l'unico modo per trovare una soluzione consiste nel cercare di abolire qualsiasi tipo di sperimentazione in vivo, cioè su esseri viventi e sensibili che provochi sofferenza.
Riguardo alla sperimentazione animale Singer arriva ad affermare che “ogniqualvolta uno sperimentatore sostiene che il proprio esperimento è abbastanza importante per giustificare l’uso di un animale, dovremmo chiedergli se sarebbe disposto a usare un umano ritardato dal livello mentale simile a quello dell’animale che lui vuole usare. Se risponde di no, siamo autorizzati a ritenere che vuole usare un animale non umano solo perché dà minore valore agli interessi dei membri delle altre specie rispetto ai membri della propria, inclinazione che non può essere ammessa più di quanto non possa esserlo il razzismo o qualsiasi altra forma di discriminazione arbitraria” . Singer è dunque profondamente convinto che se la sperimentazione animale è accettata nella nostra società come pratica lecita, anzi a volte addirittura auspicabile per il bene dell’umanità, è solo perché si considera la cosa da un punto di vista “specistico” in cui gli unici interessi che sono tenuti in considerazione sono quelli dell’uomo. Inoltre Singer individua una preoccupate connessione fra lo specismo ed il razzismo e si chiede: “Ma se la sperimentazione sugli umani ritardati e orfani non è giusta, perché è giusta quella sugli animali non umani? Che differenza c’è fra i due, eccetto il puro fatto che, biologicamente gli uni sono membri della nostra specie e gli altri no? Questa non è, da un punto di vista morale, una differenza rilevante, così come non lo è il fatto che un essere non è membro della nostra stessa razza. Effettivamente l’analogia fra specismo e razzismo è valida sia in pratica che in teoria nel campo della sperimentazione. Lo spiccato specismo porta a dolorosi esperimenti su altre specie, con la scusa dei loro contributi alla conoscenza e della possibile utilità alla nostra specie. Lo spiccato razzismo ha portato a dolorosi esperimenti su altre razze, con la scusa dei loro contributi alla conoscenza e della possibile utilità per la razza di chi compie esperimenti. Sotto il regime nazista in Germania, quasi 200 dottori, alcuni dei quali eminenti nel mondo della medicina, presero parte ad esperimenti su prigionieri ebrei, russi e polacchi” .
Il concetto di sofferenza dunque, secondo il filosofo australiano, non cambia in base alla specie o alla razza, al massimo cambia in base all’intensità: pertanto l’interesse ad evitare la sofferenza accomuna gli esseri umani e gli animali e deve essere valutato in maniera uguale .
Tuttavia le idee morali possono essere vincenti sul piano concreto solo se sono sostenute da una forte movimento d'opinione. Per il momento infatti le considerazioni etiche sono superate da preoccupazioni di altro tipo, quali la paura per la propria salute e il timore che venga rallentata l'attività di ricerca. Ne è riprova il fatto che i vari referendum per l'abolizione della vivisezione che sono stati tenuti in alcuni paesi, tra cui la Svizzera, hanno dato tutti risultati negativi. Esiste però una concreta possibilità di trovare una via d'uscita, incentivando il più possibile l'uso dei cosidetti "metodi alternativi": metodi matematici e meccanici, epidemiologia e statistica, banche dati, simulazioni al computer, utilizzo di procarioti, frazioni subcellulari, colture cellulari ed impiego di tessuti ed organi isolati.
Per cui l'ostinazione da parte di molti scienziati nel considerare insostituibile la sperimentazione animale appare sempre più legata ad ignoranza e pigrizia mentale.

     
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